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giovedì 31 marzo 2011

Casa e ufficio

Il
Il mio lavoro mi ha portato per qualche giorno nella splendida Catania.

In albergo, una decina di piloti dell'aviazione militare danese. Volano sugli F16, come si intuisce dai vistosi stemmi che portano con orgoglio sulle tute di volo. Decollando dalla base di Sigonella, partecipano ai bombardamenti sulla Libia.

Li vedo rientrare dal "lavoro", con le stesse facce e gli stessi atteggiamenti di chi lavora in ufficio o in fabbrica. Immagino che per loro possa essere normale. Ma stento ad accettare che un uomo, pur non vedendo il sangue e i brandelli delle vittime degli ordigni che ha lasciato cadere dall'alto del suo velivolo, possa tornarsene alle normali abitudini di ogni sera. Lavarsi le mani, sedere a tavola...e l'indomani ripartire ancora.

Un assassinio rimane tale, anche se commissionato sulla base di una risoluzione ONU. E sento sempre meno voci che lo ricordino.

Abbiamo accettato il fallimento della diplomazia. L'uso della violenza è divenuto uno strumento politico di uso sempre più comune.

Un caccia che sgancia una bomba può suscitare orgoglio (il caccia è italiano e uccide in Libia), umanitario sdegno (il caccia è libico e uccide in Libia) o indifferenza (il caccia è israeliano e uccide a Gaza).

Non riesco ad accettare come una bomba possa essere così tante cose diverse.

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